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I Sanniti, i Romani e le “Forche Caudine”

Nel linguaggio comune, quando si vuole evidenziare che si è avuta una vittoria eclatante con estrema umiliazione dei vinti, si usa l’espressione “è passato sotto le forche caudine”. Frase che risale alla mitica sconfitta dell’esercito romano ad opera dei soldati Sanniti e che caratterizzò la seconda guerra Sannitica.
Tito Livio nel libro X degli Annali, nel descrivere l’evento storico, pose in risalto come i Sanniti ebbero una vittoria non solo splendida ma anche eterna, forse prefigurando come tale episodio storico sarebbe rimasto inalterato nei secoli e nella memoria degli uomini. La famosa tempra dei soldati romani era stata umiliata, la forza delle “legioni romane” era stata schernita dal passaggio sotto il “giogo” eretto a disprezzo degli sconfitti. I Sanniti avevano conquistato non Roma, ma l’eroismo e la fierezza dell’esercito dei romani.
Narra Livio, che nel 321 a.C. le forze romane, erano accampate presso “Calatia” nella pianura vicino Maddaloni, mentre i Sanniti, al comando di Caio Ponzio, si trovavano nei pressi di “Caudio” vicino all’attuale Montesarchio. Fu diffusa la falsa notizia che i soldati sanniti erano lontani, occupati ad assediare la città di Lucera.
I consoli romani, per portare aiuto ai buoni e fedeli alleati lucerini, scelsero di raggiungere Lucera passando attraverso le gole di Caudio; tale strada attraversava una pianura ampia, erbosa e ricca d’acqua ma con due valichi, uno superiore e l’altro inferiore. L’esercito romano, giunto al valico superiore, lo trovò sbarrato con alberi e macigni e, avvistati i soldati sanniti, capì di essere caduto in un’imboscata. Repentinamente indietreggiò cercando di guadagnare la libertà dall’altro valico, ma trovò anche questo sbarrato con macigni ed alberi messi nel frattempo dai soldati sanniti.
Chiusi in una morsa, i nemici sanniti si facevano giuoco di loro, apostrofandoli con ironiche e sprezzanti frasi di scherno.
Disarmati e spogliati delle vesti, i soldati romani subirono l’onta e la vergogna di passare sotto il “giogo”, passare cioè attraverso delle travi incrociate, tra gli scherni dei sanniti vincitori.

I Longobardi e il culto di San Michele Arcangelo

Di costumi estremamente rozzi, in un continuo stato di guerra, costretti ad una vita seminomade, i Longobardi, nel 568, provenienti dalle zone dell’odierna Ungheria, giunsero in Italia attraverso il Friuli e vi si stanziarono, eleggendo Pavia capitale del Regno.
Conquistata tutta l’Italia, si insediarono nel 571 a Benevento. Il ducato di Benevento ebbe nel corso dei secoli, rispetto al principato di Pavia, una propria autonomia, una propria entità indipendente. La sconfitta del re Desiderio ad opera di Carlo Magno nel 774 determinò la fine del Regno longobardo di Pavia, con la sola eccezione del ducato di Benevento, il cui duca Arechi II elevò a principato, ed ebbe una durata fino al 1077, anno in cui cadde sotto il dominio pontificio.
Ebbe inizio così per Benevento un periodo storico di notevole importanza: si ampliarono le mura della città, si curò l’urbanistica, si realizzarono lo sviluppo e l’ampliamento della “civitas”, si diede impulso alla attività culturale e religiosa, ricostruendo abbazie, chiese, monumenti, con gli annessi “scriptorum”, centri propulsori di cultura.
Benevento dopo la conversione dei Longobardi al cristianesimo nel 663 divenne notevole centro di produzione e di esperienze culturali; vanno ricordate la famosa “scrittura beneventana” ed il “canto beneventano”; inoltre la nota “sacra via langobardorum”, strada dei pellegrini, che da Benevento, lungo il percorso della via Traiana, passando per l’attuale Buonalbergo, raggiungeva il monte Gargano, luogo di fede in onore di San Michele Arcangelo, patrono dei Longobardi.
La storiografia longobarda ha dato l’inizio del culto micaelico all’episodio bellico dell’8 maggio 650, allorchè secondo la tradizione i Longobardi di Benevento respinsero un attacco dei Bizantini i quali volevano impadronirsi del santuario dedicato all’Arcangelo sul monte Gargano. Successivamente a questo episodio, ebbe notevole diffusione il culto micaelico in tutto il Medioevo.
L’arcangelo San Michele, il più potente difensore del popolo di Dio, fu definito “principe degli Angeli” per la sua lealtà, fedeltà e devozione nei confronti del Signore.
L’arcangelo viene rappresentato, nell’iconografia orientale ed occidentale, come un combattente con la spada in mano, che nella prima immensa guerra apocalittica, affronta e sconfigge Lucifero ribellatosi a Dio, facendolo sprofondare nelle tenebre. Contribuirono, certamente, ad accrescere il culto di San Michele nell’area sannita le vicende della transumanza ed i pellegrinaggi verso il Gargano.

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