Curiosità e personaggi di Ravenna
Francesca Da Polenta
Figura femminile resa immortale dalla letteratura, gode di una «una vita più salda e sicura e più reale» che non tutte le ravennati storiche realmente vissute che incontriamo e scopriamo in queste pagine. Francesca vive nell’immaginario collettivo e continua a far parlare di sé […] Il suo mito è perenne […] La fama di Francesca nasce dalle terzine dantesche. Nel primo cerchio dell’Inferno Francesca sfugge per un istante dalla rapina della bufera infernale e si fa incontro a Dante, sempre avvinghiata a Paolo in quel volo a due, indissolubile ed eterno. […] Francesca e Franceschina è la figlia di Guido Minore Da Polenta, signore di Ravenna. Il nome della madre è ignoto, come pure l’anno di nascita, che si può collocare intorno al 1260. Risulta che ebbe una sorella più giovane, Samaritana, sulla quale è stato scritto un saggio da Corrado Ricci, e otto fratelli tra legittimi e bastardi. Probabilmente sposò Gianni Ciotto (Johannes Zoctus, cioè Giovanni Zoppo) Malatesta, signore di Rimini, tra il 1275-1282. Come risulta dal testamento di Malatesta da Verucchio, Francesca ebbe una figlia Concordia. Della storia di e amore e morte nulla è rimasto. Suo cognato Paolo Malatesta era sposato con Orabile Beatrice, contessa di Ghiagghiolo, dalla quale ebbe due figli. Si ipotizza che gli amanti furono uccisi dal marito tradito tra il 1283 e il 1286, quando Gianciotto convolò a nuovo nozze con la faentina Zambrasina di Tebaldello Zambrasi. Come si vede dunque la fonte storica è stata travolta dalle fonti letterarie. Proprio da questo si è sviluppato il mito Ottocentesco. […] Ricordiamo in Italia Francesca tragica di Silvio Pellico e soprattutto la Francesca di Gabriele D’Annunzio, impersonata in scena da Eleonora Duse.
Lo stemma del Comune di Ravenna
Il testo è stato redatto a cura dell’Ufficio Stampa del Comune di Ravenna.
Della forma dello stemma della città di Ravenna precedente l’attuale e raffigurante Port’Aurea (la porta costruita nel 43 d.C. sotto l’imperatore Claudio, definitivamente demolita nel 1582) si hanno notizie sicure grazie a prove documentarie: – l’impronta a secco rinvenuta nel 1900 da Silvio Bernicoli in calce ad un atto pubblico dell’11 ottobre 1472 (Archivio Notarile Prt. 46 c. 210-211 settimo dei rogiti del notaio ravennate Martino Astoci); – il ritrovamento – ad opera di Corrado Ricci – del sigillo in bronzo del XV secolo della Comunità di Ravenna, sigillo consegnato – nel 1906 – al Museo Nazionale di Ravenna e del quale si è persa ogni traccia dopo il trafugamento avvenuto nel 1924. Gli elementi che maggiormente caratterizzano lo stemma attuale (due campi oro e rosso, contenenti due leoni – dell’un colore nell’altro – controrampanti e affrontati ad un pino verde fruttato d’oro, sradicato e posto nella partizione), così come recepiti ufficialmente dalla Giunta Permanente Araldica nel 1937, sembra possano farsi risalire nella loro combinazione ed uso, ad alcuni anni prima del passaggio dell’effettivo governo della città dalla Repubblica Veneziana alla Santa Sede avvenuto nel 1509. Sicuramente essi (colori compresi) appaiono in un documento del 25 agosto 1509 in principio dei capitoli per il governo della città di Ravenna da approvarsi da Papa Giulio II. Il colore e lo smalto dello stemma vigente (rosso e oro) già erano nello stemma dei Da Polenta, signori della città dalla metà del 1200 fino al 1441 quando essi furono sostituiti dai veneziani il cui stendardo recava gli stessi colori. […] Gli elementi aggiuntivi specifici del periodo fascista, alla caduta di questo furono eliminati e, nel 1951, la Croce di guerra appesa con nastro sul decusse dei rami di quercia e alloro fu sostituita con la riproduzione della Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa alla città di Ravenna per il suo operato nella Liberazione.
Statua di Guidarello Guidarelli
La statua di Guidarello Guidarelli è ora conservata nella Pinacoteca di Ravenna.
Nelle note di viaggio dello storico fiorentino Gino Chiapponi, alla statua di Guidarello Guidarelli vennero indirizzate le seguenti parole: “All’Accademia di Belle Arti di Ravenna è una statua giacente d’un guerriero morto, mirabile fra quante opere di scoltura io mi abbia veduto mai. Quella testa, a cui rimane tuttora come l’impressione della vita tolta violentemente, ha tale verità sublime che non ho parole per lodarla. V’è, direbbesi con frase romantica, la vita della morte”. Da allora la lastra funebre del nobile cavaliere, scolpito da Tullio Lombardo nel 1525, continua a riscuotere fama pressoché internazionale, suscitando la curiosità e l’interesse degli studiosi, dei turisti, delle donne italiane e straniere e anche dei più giovani visitatori della Pinacoteca di Ravenna. Alimentato dalla leggenda popolare secondo cui “le donne nubili che baceranno Guidarello potranno sposarsi entro l’anno”, l’alone di mistero, che per lungo tempo ha avvolto la scultura, si è mantenuto vivo fino ad oggi grazie alle guide ai diari redatti da numerosi viaggiatori europei in visita a Ravenna tra l’inizio dell’Ottocento e il primo Novecento e alle ricerche di storici dell’arte locali tra cui si ricordano in particolare Carlo Grigioni, Augusto Campana e Santi Muratori. […] “In che cosa dunque consiste la maraviglia di questa statua?” si chiedeva Corrado Ricci. “Nel volto, che si può proclamare una delle più splendide opere della Rinascenza. Perché non è uno dei soliti volti ad occhi chiusi, ma il volto d’un uomo spentosi, mantenendo l’orma dell’angoscia che gli ha conturbata l’agonia”.
Droctulft A pagina 278 del libro La poesia (Bari, 1942), Croce, riassumendo un testo latino dello storico Paolo Diacono, narra la sorte e cita l’epitaffio di Droctfult; ne fui singolarmente commosso, e in seguito compresi perché. Droctulft fu un guerriero longobardo che, durante l’assedio di Ravenna, abbandonò i suoi e morì difendendo la città che prima aveva attaccata. Gli abitanti di Ravenna gli dettero sepoltura in un tempio e composero un epitaffio nel quale espressero la loro gratitudine […] Tale è la storia del destino di Droctulft, barbaro che morì difendendo Roma […] Non so neppure in quale periodo sia accaduto il fatto: se a metà del sesto secolo, quando i longobardi devastarono le pianure italiane, o nell’ottavo, prima della resa di Ravenna. Immaginiamo (giacché questo non è un lavoro storico) che fosse il primo. […] Veniva dalle selve inestricabili del cinghiale e dell’uro; era bianco, coraggioso, innocente, crudele, leale al suo capo e alla sua tribù, non all’universo. Le guerre lo portarono a Ravenna e là vede qualcosa che non ha mai vista, o che non ha vista pienamente. […] Vede un insieme che è molteplice senza disordine; vede una città, un organismo fatto di statue, di templi, di giardini, di case, di gradini, di vasi, di capitelli, di spazi regolari e aperti. Nessuna di quelle opere, è vero, lo impressiona per la sua bellezza; lo toccano come oggi si toccherebbe un meccanismo complesso, il cui fine ignoriamo, ma nel cui disegno si scorgesse un’intelligenza immortale. […] Bruscamente, lo acceca e lo trasforma questa rivelazione: la Città. Sa che in essa egli sarà un cane, un bambino, e che non potrà mai capirla, ma sa anche ch’essa vale più dei suoi dei e della fede giurata e di tutte le paludi della Germania. Droctulft abbandona i suoi e combatte per Ravenna. Muore, e sulla sua tomba incidono parole che non avrebbe mai comprese: Contempsit caros, dum nos amat ille, parentes, hanc patriam reputans esse, Ravenna, suam.
Marziale – Epigrammi
Marziale poeta dell’età dei Flavi (39-104) compose 15 libri di epigrammi. Le fonti scritte storiche e letterarie contenute nel volume “Vita e personaggi di Ravenna antica”, sono riprodotte con testo originale e traduzione. Epigrammata III,56: Sit cisterna mihi quam vinea malo Ravennae, cum possim multo vendere pluris aquam. A Ravenna preferire avere una cisterna piuttosto che una vigna, dato che l’acqua potrei venderla ad un prezzo molto superiore. Epigrammata III,57: Callidus imposuit nuper mihi copo Ravennae: cum peterem mixtum, vendidit ille merum. A Ravenna di recente me l’ha fatta un furbacchione d’un oste: chiedevo vino annaffiato, me l’ha dato schietto. XIII,21: Mollis in aequorea quae crevit spina Ravenna non erit incultis gratior asparagis. La delicata spina che cresce nella marina Ravenna non sarà più gustosa degli asparagi selvatici.
Il Gruzzolo di via Luca Longhi
Mostra permanente inserita nel percorso espositivo del Museo Nazionale.
Nel 1957 vennero rinvenuti, in via Luca Longhi, i resti di un recipiente di terracotta contenente 665 monete. Il ritrovamento è composto di grossi e doppi grossi emessi tra la prima metà del XIII e la metà del XV secolo dalle zecche di Arezzo, Bologna, Merano, Mantova, Modena, Ferrara, Firenze, Reggio Emilia, Roma, Rimini, e da 8 ducati d’oro della zecca di Venezia.